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Mattino, voto compresso
e nuova sfiducia a Orfeo
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“INTENDI ESPRIMERE LA fiducia al direttore del Mattino Mario Orfeo?”: la domanda all’apparenza elementare deve essere sembrata tosta, anzi tostissima, ai giornalisti del quotidiano di via Chiatamone, se, con due giorni a disposizione per votare, a meno di quattro ore dalla chiusura dell’urna nessuno dei 119 aventi diritto aveva votato. Intorno alle 17 di lunedì 2 ottobre i componenti del comitato di redazione (Gianni Ambrosino, Enzo Ciaccio, Francesco Romanetti, per le sedi distaccate Rosaria Capacchione e per |
Salerno Gianni Colucci) hanno deciso di rompere gli indugi: si sono presentati al seggio, hanno infilato la scheda nell’urna e hanno inviato una mail a tutti i redattori invitandoli a esercitare con serenità il diritto del voto, qualunque fosse la loro opinione.
Poco dopo le 21 la commissione elettorale, presieduta da Gianni Molinari, con Anna Maria Asprone, Alessandra Chello, Marisa La Penna, Gaty Sepe, ha avviato lo spoglio. Questi i risultati: aventi diritto al voto 119, con l’assessore regionale Teresa Armato che è in aspettativa;
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Mario Orfeo |
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votanti 45, il 38 per cento; 29 voti contro Orfeo (il 65 per cento dei votanti, il 25 per cento degli aventi diritto); 7 a favore; sette bianche; due nulle.
Dopo lo spoglio il presidente del seggio ha distrutto il materiale elettorale, decisione che ha destato più di una perplessità. “Abbiamo fatto, come sempre, - chiarisce Gianni Molinari – lo spoglio pubblico delle schede e una seconda verifica. Avevo in precedenza chiesto a colleghi e al cdr se in altre elezioni il materiale elettorale fosse stato conservato; mi hanno detto che non c’erano precedenti e quindi ho distrutto le schede e l’elenco con i nomi di chi aveva votato”. Una decisione non finalizzata a tutelare chi aveva votato perché il direttore e i suoi fedelissimi venivano informati in tempo reale sull’affluenza, con redattori che ronzavano intorno al seggio per sbirciare numeri e nomi.
Il dato finale si presta a letture diverse, ma in molti parlano di pesanti condizionamenti per lasciare deserta l’urna. “Al Mattino, tra domenica e lunedì, - commenta uno dei sindacalisti – sono accadute cose mai viste.
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Anna Maria Asprone, Alessandra Chello e Gaty Sepe
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Interventi a gamba tesa degli ufficiali del giornale per conculcare un diritto primario di qualsiasi lavoratore, con tentativi di violazione della privacy sulle scelte politico-sindacali dei dipendenti. Nessuno ha il coraggio, o la temerarietà, di denunciare ciò che è
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accaduto, ma non c’è bisogno di testimonianze a volto scoperto di fronte al dato che, a quattro ore dalla chiusura dell’urna, nessuno dei redattori di quello che è ancora il primo quotidiano del Mezzogiorno e uno dei principali ‘regionali’ del paese si era recato a votare”.
C’è però chi rivendica la scelta di aver disertato il seggio perché in disaccordo con la linea del cdr: “Non mi convince la decisione di votare la fiducia al direttore perché non ha presentato il piano di riorganizzazione del giornale; dovremo comunque rivoltarla quando ce lo presenterà. È un cdr che va a fasi alterne, senza una linea politica chiara e coerente; ha improvvise accelerazioni, poi torna indietro: nella fase delicata vissuta ai primi di luglio sulla questione delle sostituzioni non replica in maniera adeguata ad azienda e direttore e tre mesi dopo decide di sferrare un attacco frontale”.
Al voto sul direttore si è arrivati dopo un’assemblea convocata il 15 settembre e tenuta mercoledì 27. Al termine è stato approvato all’unanimità un documento che elenca i nodi da sciogliere: le mancate assunzioni per sostituire i giornalisti andati via negli ultimi cinque mesi (i graduati Franco Mancusi, Manuela Piancastelli e Matteo Cosenza, con gli ultimi due rispettivamente
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vice e capo dell’Italia, settore al momento decapitato); “un uso scorretto e dilagante degli apporti esterni”; la sospensione dell’utilizzo “di numerosi corrispondenti e collaboratori che garantiscono il quotidiano radicamento del giornale”;
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Gianni Ambrosino, Enzo Ciaccio e Francesco Romanetti |
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“il sistematico ricorso a figure esterne per compiti e ruoli che sono propri dei redattori (commenti, analisi, inchieste e perfino articoli di cronaca)”; “l’ormai quasi quotidiana pubblicazione di commenti-fotocopia trasferiti dal Messaggero sulla prima pagina del Mattino”.
Il documento si conclude con l’annuncio della costituzione della commissione elettorale e dell’avvio di un’azione legale nei confronti dell’azienda per la corretta applicazione del contratto sul tema della settimana corta.
Con 29 no su 45 votanti tecnicamente Orfeo ha incassato una nuova sfiducia; ma è una sfiducia che pesa? “I ventinove ‘no’ sono un dato importante, non una débâcle per il direttore, che dovrà riflettere anche sui sette voti a favore e sulle sette bianche. Un terzo dei votanti sta dicendo che non gli è pregiudizialmente contrario, però deve rispettare il sacrosanto diritto di andare alle urne e accelerare la riorganizzazione del lavoro per fermare il progressivo impoverimento del giornale”.
Molto più conflittuale l’interpretazione di uno dei cronisti anziani: “C’è stato un braccio di ferro tra due gruppi di peso molto diverso, con il tentativo di trasformare il referendum sul direttore in referendum sul cdr: da un lato, con l’azienda alle spalle, c’è il direttore, i numeri due Velardi e Scamardella (che oggi forse conta più del redattore capo vicario perché come responsabile del
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Teresa Armato e Marisa La Penna
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dorso cronache controlla la parte del giornale che i napoletani leggono) e i graduati, che hanno disertato quasi in blocco l’urna; dall’altra i giornalisti che si battono per difendere un’agibilità politica e sindacale all’interno dell’azienda. Se avessero votato dieci o quindici persone il cdr si sarebbe dovuto dimettere, e questo è un cdr che può essere molto forte; senza
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contare che un’urna vuota sarebbe stata giocata anche sul tavolo del rinnovo, bloccato, del contratto nazionale di lavoro. Invece il risultato di lunedì stoppa gli scenari di desertificazione sindacale del Mattino”.
Se c’è chi insiste sugli “interventi a gamba tesa”, altri spostano l’attenzione dagli “ufficiali intimidatori” a chi ha utilizzato le presunte minacce per giustificare il mancato voto. “Non credo ci siano state intimidazioni, - dice un redattore più volte cdr - ma pressioni e sms per spingere a non andare alle urne. Ma chi si lamenta per le tante cose che non vanno, devi alzarsi dalla sedia e andare a votare: è comunque ancora un ipergarantito e non rischia niente se va infilare una scheda nell’urna. Forse il comitato di redazione ha sbagliato il momento dell’affondo, affondo comunque deciso dall’assemblea tenuta il 27 settembre, alla presenza di cinquanta redattori; conveniva temporeggiare perché il direttore stava per annunciare delle novità. Ma ha fatto bene, durante la prima giornata di voto quando anche all’interno dello stesso cdr c’era chi proponeva di aderire al boicottaggio (“ci sono intimidazioni fortissime, facciamo saltare il tavolo”), a scegliere la linea della coerenza e della fermezza. Del resto il voto conferma che non c’è feeling tra il direttore e la redazione: la sfiducia è passata 29 a sette; in fondo bastavano poco più di una ventina di schede per capovolgere il risultato; ma i promotori |
dell’astensione, a partire dai vertici delle cronache, sapevano che nel segreto dell’urna il voto non era controllabile perché il malcontento è diffuso e radicato. Quindi il cdr non incassa una vittoria, che pure poteva esserci organizzando meglio il voto: bastava anticipare
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Matteo Cosenza, Franco Mancusi e Manuela Piancastelli |
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alla domenica il voto dei sindacalisti con l’invio della mail ai redattori e evitare lunedì di strozzare in un’ora e mezzo il voto (via telefono con il notaio Carlo Iaccarino) delle redazioni distaccate e di chi era in corta, ferie o malattia. Certamente però il comitato di redazione non subisce una sconfitta, ma porta a casa un largo pareggio”. |
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